Arance e Avorio
Ahmed Hagi
21 anni
della tua milza
ne puoi fare a meno
Lasciala pure in pasto agli sciacalli
e ai loro “figghioli”,
cuccioli che la sera
danno la caccia al nero.
Saga Habib
amico ventenne
gambizzato,
non ti turbare
se sullo stesso suolo
che ora calpesti a stento
altri a milioni vivono sicuri
e nelle loro tiepide case
tornando a sera trovano
il cibo caldo e visi amici1[i]
Mentre per voi solo la landa
della fabbrica abbandonata
tetto sfondato
in 250 a bivaccare
sacco a pelo
donato da Medecins sans Frontiers
Tricolore d’Africa
nel profondo sud:
il verde delle foglie
l’arancione dei mandarini
il nero della mano che li coglie
Voi, grandi ombre
che per Natale
portate i clementini
sulle tavole d’Europa
sarete i nostri maestri
Apprenderemo da voi, noi
Italiani merda!
(ignoriamo a nostro rischio
i graffiti che sempre più spesso
adornano i nostri muri medievali)
a vivere
ammassandoci in covi di fortuna
il progresso amnesia
ci ha portato e atrofia
dei muscoli.
Non era certo quello
che sognavate
aggrappati
al tetto del Land Rover
brulicante
di anime speranzose
che tagliava veloce
il deserto
(due non ce l’hanno fatta
mani troppo morbide
non reggono
la fretta del negriero
che sfreccia verso Tripoli)
Non è certo quel che confidate
ai vostri cari
giù in Costa d’Avorio
fieri che i loro figli
la legge della jungla
l’abbiano aggirata
Si aspettano grandi cose Ahmed,
le loro speranze grandi come case, Saga
non puoi certo dirgli che vivi
come gli sfollati
del Sierra Leone
Che la mano strozzina
invisibile del mercato
vi ha schiaffato
in questa perfida
periferia di mondo
dove cantano fucili a canne mozze
e si usa la dinamite
per stanare i latitanti
mentre a venti chilometri
dai container del grande porto
la droga e le armi
partono per e arrivano da
ogni angolo di mondo.
“Qui non sta acqua,
qui non sta luce, understand?”
vallo a dire a Don Nicola
che scrolla le spalle e
mostra i buchi tra i denti.
Rosarno, un tempo
la chiamavano Medma
“fiume e città al confine”
Colonia di colonia greca
Patria del segretario di Platone
E prima arrivarono le luvare
Poi toccò agli arabi portarci le rangiare:
due tipi, uno le burtuqal, quelle dolci
e le narang, quelle amare
frutto preferito dagli elefanti indiani
che qui non ci sono
ma in compenso ora vengono
a raccoglierle gli ivoriani le narang
arance e avorio
tastiera di un dissonante
triste preludio globale.
“Maledette arance!” aveva bestemmiato
anni fa in in una pagina famosa
un siciliano
piccolo e scuro come un arabo
sul pontile di un traghetto
porgendola disperato ad una donna
bambina silente ed affamata.2[ii]
E ora Arancio è un conto in banca
E l’Orange dei telefonini
È protetto da trademark.
“E per l’acqua come fate? “ indaga
meravigliato il giornalista ,
“Chiediamo a italiani qui vicino.
Se vogliono dare, va bene,
se no, lasciamo stare”
a domanda risponde Abdullah, liberiano
Eppure non più di cinquant’anni fa
con le quartare tutti andavano alla fonte
e un bicchiere d’acqua non si negava
I giovani se ne andavano
dove lavoro chiamava
a diventare anche loro, come voi
un uomo sulla terra
cunfundutu nella sua odissea.
Oggi nelle nostre tiepide tane
superbi e pavidi
come sciacalli
tra lo schiamazzo della televisione
e le solitudini
degli avatar
ce ne stiamo a ordire inferni
per gli altri
dietro l’angolo di casa.
Dicembre 2008
[i] Primo Levi, Se questo è un uomo,
[ii] Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia