da: La macchina sognante” di Julio Monteiro Martins-
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Letteratura, tristezza, speranza:
La letteratura è una delle più tristi strade che portano dappertutto. (André Breton, Manifesto del Surrealismo, 1924)
Una letteratura disperata è una contraddizione in termini. (Albert Camus, L’estate, 1954).
JMM – Secondo me la letteratura non è una strada triste (a meno che uno non sia tradito dall’illusione della fama, del “successo”, del prestigio sociale e della ricchezza materiale, che con la letteratura c’entrano poco o niente), è una strada gioiosa invece, piena di luce, di sorprese, di avventure e di paesaggi mozzafiato. Quello che spesso è triste, ed è a questo forse che Bréton faceva riferimento, è la condizione umana che la letteratura ha l’imperativo etico di ritrarre. Penetrare con la mente dello scrittore in certe sue dimensioni scure può essere mortificante. «Sono un uomo: nulla che sia umano mi è estraneo», era la professione di fede di Publio Terenzio, ma il fatto è che bisogna avere nervi d’acciaio per non allontanare lo sguardo dinanzi a certe crudelissime manifestazioni dell’umano.
Il vivere nel tempo, nei ricordi e nelle premonizioni, nella paura della decadenza e della finitudine – e non in un protetto presente continuo – ossia in ciò che è al contempo prerogativa e dannazione dell’essere umano, dev’essere affrontato dallo scrittore coraggiosamente, cercando di addomesticare i propri terrori col linguaggio, trasferendoli ai suoi personaggi. E forse non c’è un altro modo di mitigare la tristezza intrinseca alla condizione umana che quello di distillarla attraverso i filtri della malinconia ricreata nelle opere d’arte, un po’ come l’antidoto al veleno dei serpenti è un concentrato modificato dello stesso veleno.
Una «letteratura disperata» per Camus assume la valenza di un ossimoro, mentre per Clarice Lispector o Thomas Bernhard è un binomio non soltanto logico ma necessario. Penso che non c’è una vera letteratura senza una dose di calma disperazione, di spavento del mondo, ma d’altra parte se questa disperazione raggiunge livelli estremi lo scrittore tace. Lui è solo dinanzi al vuoto, e il linguaggio assediato dal vuoto non può fare altro che diventare vuoto anch’esso.
Per esempio, è improbabile che qualcuno che sta morendo e lo sappia scriva qualcosa – a meno di non essere come Proust che alla vita ha sostituito la scrittura. Scorgere davanti a sé quell’abisso infinito, quella tenebra definitiva, gli farà perdere improvvisamente tutte le parole, cancellate, schiacciate dal nulla che lo travolge.