Julio Monteiro Martins
FINESTRE
Un poeta ha scritto
che poesia e finestre
non stanno bene insieme.
Forse aveva ragione.
Le finestre
sono un soggetto
troppo poetico,
servono troppo spesso
per metafore scontate.
Ne volete una?
Lo sguardo
è la finestra
dell’anima.
Un’altra?
Quello scrigno
è una finestra
verso il passato remoto.
Infatti
non si può mica fare
poesia così.
È chiaro
non ci sono finestre
che si aprono verso l’anima
né porte
che si spalancano verso il passato.
Ci sono invece
le finestre vere
e su queste
si può anche scrivere poesia.
O non scrivere niente.
È uguale.
Esistono e basta.
Il mondo non se ne sta certo in ginocchio
a supplicare di essere scritto
da qualcuno.
Il mondo se ne frega.
Una finestra vera,
per esempio,
era quella che mio nonno
sprangava con una barra di ferro
tutte le sere alle otto
anche quando faceva un caldo bestiale.
Oggi capisco
che non si preoccupava
della sicurezza.
Lui credeva
– ma non l’avrebbe mai ammesso –
che dalla finestra aperta
entrassero spiriti maligni
che poi avrebbero infestato
la casa della mia infanzia.
Era paranoico, mio nonno.
Tanto buono,
ma paranoico.
Nel suo delirio
il male era dappertutto
ma entrava solo dalla finestra.
Un’altra finestra reale
è stata sfondata
da una banda di bambini
in un quartiere periferico
di Rio de Janeiro.
Era quella della camera da letto
della mia bisnonna Hermínia.
Volevano i soldi nascosti
che non esistevano.
L’hanno ammazzata
di botte.
La mia bisnonna
aveva capelli d’argento.
Anche lei era buona.
Una donna forte.
Era la direttrice
dell’ospizio
che i bambini da tempo assediavano.
Hermínia
non era paranoica.
Ma avrebbe dovuto esserlo,
invece.
Le avrebbe salvato la vita.
Quando mi sveglio ansimante
nel mezzo della notte
o la mattina presto stanco e ottuso,
non so mai dove sono.
Tante volte
ho cambiato paese e città,
piume e pelame,
che non sempre riesco a ricordare
l’ultimo spostamento.
Le pareti sono sempre uguali.
Lampadari, accappatoi, tappetini,
li trovo dappertutto.
Resta solo la finestra
in grado di spiegarmi
le cose.
Le cose della mia vita.
Mi sporgo sul davanzale,
in cerca di una torre,
di un monte,
di un tipo di gonna,
di cappello,
che mi faccia capire
dove diavolo
mi sono cacciato
questa volta.
Un autobus,
un fruttivendolo
all’angolo
mi rivelano
lo stato delle cose.
Dalla finestra
non si vede l’anima
né il passato.
La finestra
è il presente.
La camera invece
è l’eterno.
E il presente,
lo sappiamo,
o lo vediamo dall’eterno
o non lo vediamo affatto.
a a a
Julio Monteiro Martins
Lucca, 17 Dicembre 2003