Proprio tre anni fa, in questi giorni, a Placanica (R.C.) con Irene De Matteis (movimento) e Marco Papa (chitarra), all’epoca come gruppo Mangiasciumi, su invito di Daniela Maggiulli che era tra e organizzatrici di un festival dedicato ai luoghi deputati della cittadina, mettevamo in scena una lettura poetica dedicata a Tommaso Campanella, basata su testi scritti da me e recitazioni di alcune poesie del filosofo. Si trattava di testi pensati specificamente per il monastero domenicano di Placanica, in cui Tommaso Campanella prese i voti, nel piccolo centro che si affaccia sullo Ionio, in provincia di Reggio Calabria.
Anche se come gruppo non esistiamo più e ognuno di noi ha intrapreso percorsi diversi voglio mantenere memoria e traccia d’archivio di quella performance che a sorpresa, fuori copione, si concluse con le performance dell’uomo carta Enzo Correnti, e dulcis in fundo Ina Ripari e Antonio Martin. Sotto riporto il copione integrale (con l’eccezione delle performance a sorpresa)
Copione Interregno a Placanica
“La crisi consiste precisamente nel fatto
che il vecchio sta morendo ed il nuovo non può ancora nascere;
[PAUSA 7 secondi]
in questo interregno appaiono una gran quantità di sintomi morbosi”
[MARCO suona per creare atmosfera, almeno 20 secondi]
Sindrome morbosa
della rosa della rosa della rosa
coltivata in Etiopia in terre accaparrate
da mega-imprenditori sauditi o dalla Cargill
Mani nere l’han curata, accarezzata
poi strappata spedita nella stiva se n’è volata
poi è atterrata, per un’ora immagazzinata e poi
per le strade di Palermo di Bologna di Torino
un bengalese poco più che bambino
me l’ha offerta a mezzo euro
perché non era più fresca di giornata
SALDI, SALDI, SALDI
teniamoci saldi
nell’interregno
tra le sindromi morbose
sindoni irradiate
antropogenici cambiamenti
antropologici mutamenti
e ammutinamenti
costituzionali scrostamenti
e crollo di nazioni
Negli interstizi
vaga la voce
fluisce la nota
che la bussola resetta
e come arca
spera e aspetta
(dalla raccolta Canti dell’Interregno di Pina Piccolo)
[PAUSA 8 secondi]
[MARCO e IRENE lavorano sulla fatica e ingegno]
La fatica del fiore di cappero
lì aggrappato
al mattone che si sgretola
sul muro della rocca antica
All’ombra delle ali del piccione
che il fresco si gode
rifugiato
in una bocca di fuoco
da dove un tempo
volavano
palle di cannone e olio
bollente.
L’ingegno del fiore di cappero
che sa che il bocciolo verrà colto
e intuendo quel filo di terra
che s’incanala dove cede il mattone
lì lancia la sua radichetta
e lì produce non solo aspetta
tempi migliori
La felicità del fiore di cappero
che nella sua raggiera risplende
contro lo sfondo viola
di un’ umiltà di sé innocente
e per questo potente
più d’ogni arma e trama.
[IRENE termina con posa aperta]
[PINA parte sola e poi ridetto con I e M, in unisono]
Una fame antica
attaccata alla grata
dove ora si arrampica il caprifoglio
s’acqueta col miele che succhiato dall’ape
cola in eccesso
abbondanza di vita.
Si raccoglie un sospiro antico
di domenicano figlio cadetto
lui, alla scienza votato
che trame di stelle
fissa nello specchio della cisterna
ricamandone figure di pensiero
perché l’agire gli è limitato
Nelle crepe tra i mattoni
osserva scorrere
la verdastra vita del lichene
e a quella si va comparando.
Oggi per contrade silenti [IRENE si prepara per movimento]
s’inerpica una speranza
incede felpata
al cospetto di vaghe loscure
s’infiora dove il cemento si è crepato
e resta allo scoperto
il cuore della terra.
[pausa di almeno 8 secondi]
Dalla cisterna risale [IRENE incalza con il movimento per liberarsi]
un rimpianto
per il mondo lasciato
affondato
legato a un masso
striato dei terrori d’occidente
E con ricciolo di danza
volteggia per il chiostro
sfuggendo agli antichi ferri
dell’ordine di nascita.
[IRENE volteggia e va a leggere la prima poesia di Campanella]
Di Tommaso Campanella
Delle radici de’ gran mali del mondo. | |||
Io nacqui a debellar tre mali estremi:
tirannide, sofismi, ipocrisia; ond’or m’accorgo cohn quanta armonia Possanza, Senno, Amor m’insegnò Temi. Questi princìpi son veri e sopremi della scoverta gran filosofia, rimedio contra la trina bugia, sotto cui tu, piangendo, o mondo, fremi. Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno, tutti a que’ tre gran mali sottostanno, che nel cieco amor proprio, figlio degno d’ignoranza, radice e fomento hanno. Dunque a diveller l’ignoranza io vegno
|
E prima arrivarono le luvare
Poi toccò agli arabi portarci le rangiare:
due tipi, uno le burtuqal, quelle dolci
e le narang, quelle amare
frutto preferito dagli elefanti indiani
che qui non ci sono
ma in compenso ora vengono
a raccoglierle gli ivoriani le narang
arance e avorio
tastiera di un dissonante
triste preludio globale.
Oggi nelle nostre tiepide tane
superbi e pavidi
come sciacalli
tra lo schiamazzo della televisione
e le solitudini
degli avatar
ce ne stiamo a ordire inferni
per gli altri
dietro l’angolo di casa. [si finisce in unisono, prima MARCO e IRENE noise per tutta la poesia]
[Stacco di 7 secondi]
« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene…
non saranno a lungo ai diavoli affidate
a scacciarli processioni di santi neri [Marco attacca when the saints]
che accorrono al richiamo
di rimbombi
e scatenano ridde e tarantelle
le lingue delle sirene
si scioglieranno in profezia
e il clandestino Enea
smetterà di vagare
sulle onde del mare
salvifica cesta apparirà
zeppa di infanti
al sole inneggeranno
le loro parole
gli elmi bucati e arrugginiti
coleranno a picco
e nelle foreste
gioiranno gli orangutan
a noi cugini
dagli alberi dondoleranno
esultando alla dichiarata
illegalità dei confini
e l’obsolescenza di notai e aguzzini
[7-8 secondi stacco]
[MARCO Costruisce zattera sonora]
Sia lode alla bussola che dentro
La bottiglia vuota
Sui flutti galleggia
Sfuggendo a radar
Satelliti e motovedette
E forse approda in un antico
Borgo spopolato
Nella punta estrema della nostra terra
Non lontano dal capo dove si spartiscono i venti
Un tempo geloso custode di bronzi
Dove accolte in vecchie case
Sbrindellate
Ora donne
Dai capelli neri e crespi
Sbarcate da lidi lontani
Intrecciando la ginestra
Assieme alle nostre nonne
E alle loro nipoti dalle mani
Color dell’ulivo creano il cesto
Zattera galleggiante che
Dal Faraone
Forse ci salva
[ ultimi tre versi, recitati 3 volte, seconda e terza M e I recitano vicini al pubblico]
Sotto il link con un breve video delle prove
You may also like
-
“ONLY THE HEART CAN HOLD ALL OF THIS / THE MIND REFUSES TO GRASP IT” (Halyna Kruk)
-
Le ricadute ecologiche: Voci dall’Ucraina di Anna Badkhen, Iya Kiva, Zarina Zabrisky, Igor Bobyrev, Charles Digges, Oleksiy Vasyliuk
-
L’infinito ed innocente canto degli uccelli del cielo è per voi- Le più recenti poesie di guerra dall’Ucraina, dal sito Chytomo
-
Poetry Reminders For Putin Apologists Dressed in Progressive Clothes
-
COME ABBIAMO COSTRUITO LE NOSTRE CASE? / HOW DID WE BUILD OUR HOMES – Serhiy Zhadan