Ieri, ora e sempre, alle stragi di tutti i morti!
Mi riferisce un amico che Libero ha titolato la sua prima pagina “Bastardi Islamici”, per fortuna non è la sola testata italiana, ma come i fatti del 13 novembre 2015, è già storia, una storia priva di virtù e con le sue ovvie conseguenze. Mi rifiuto di leggere l’articolo, come mi rifiuto di leggere altre testate, da quando ieri sera tornando a casa per circa tre ore, ho seguito, su quasi tutti i canali la notizia sviscerata con la prassi mediatica del gusto del tragico, che oltrepassando la legittimità della cronaca, sottilmente o per pura automatica (autorferenziale abitudine) suggeriva i toni di sgomento e la modalità emotiva da dover provare. Ora che una persona mi suggerisca i sentimenti da provare, ed insceni (sia pure per emotività immediata davanti all’enormità dei fatti) il rituale collettivo, mi provoca un profondo dissenso. Un’intima contrazione. Non che io non sia capace di provare umani sentimenti davanti al dolore, come oltresì che non riesca a capire l’entità di un’ inquietudine davanti a fatti solo parzialmente controllabili e dunque preoccupanti. Però, davanti a una tragedia come questa, bisonga distinguere un ambiguo senso di appartenenza all’Europa, alla Francia o a una presunta unione Occidentale (ormai, con venti d’oriente come La Russia, e La Cina) da una più sincera appartenenza alla dignità degli esseri umani. Per quanto suoni demagogico, per quanto suoni utopistico, e soprattutto impopolare dunque non politico, è una distinzione necessaria e fondamentale del cammino dell’umanità. Persino questo senso di stucchevolezza a cui la frase “cammino dell’umanità’” conduce, stigmatizza la distanza, strutturale, ideologica e pratica della politica internazionale dalle esigenze umane. Gli stati hanno fallito. Non serve un economista, un accademico universitario (magari all’occorrenza islamista), un politico, un militare a spiegarci ormai che la storia è un incatenarsi di fatti, di decisioni e stratificazioni, socio-etico-culturali di un’importanza epocale. Per cui le ovvie poco intelligenti reazioni di risposta alla violenza con violenza, chiusura delle frontiere, coprifuoco, metal detector, microcip e quanto più la razionalità occidentale ha ideato per creare uno stato reale di controllo, ma solo apparente di calma sono soluzioni infelici di popoli infelici. Ma certo qui –adesso-queste mie parole da sofista dell’ultima ora, di contro la tragedia di spari, esplosioni e morti sono infaustamente sospettabili e pericolose, perché inducono all’esitazione, e dove si esita si è sospettati di timore e quale stato mai vorrebbe macchiarsi di tale onta. Meglio il bieco orgoglio, la risposta virile contro il nemico invisibile ci dicono gli stati e, certo, serviranno altri corpi, volontari o forzati per dimostrare questa forza. Il resto lo farà la paura. Contro le mie parole c’è il tarlo della paura. Eppure io insisto con le mie parole inattuali, insisto con il chiedere ai miei simili il tempo di una riflessione e chiedo ai miei simili l’intelligenza di aspettare e capire perché, la reazione sia importante più che enfatica, perché la risposta sia una risposta non –solo- ai morti della Francia e dell’Europa, ma all’inutilità quotidiana della violenza, che tristemente abbiamo imparato a conoscere, accettare e alla quale inutilmente rispondiamo con, cieco, compulsivo automatismo. La morte insegni, per una volta, ai vivi a saper vivere!
Reginaldo Cerolini 14 Novembre 2015 Arese
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