Muhammad Najem e il fico dell’Alhambra
E i rami intirizziti del fico
nel cortile di un palazzo dei Nasridi
spenta ormai
l’eco
della meraviglia dei turisti
captavano con ingordigia
la voce di Muhammad Najem
che da Ghouta est,
accompagnata dal tonfo di bombe
e razzi,
con la puntigliosità del quindicenne
twittava documentando al mondo
la sua esistenza
braccata.
I muri rossi dell’Alhambra
tacevano il loro stupore
per quella mai dissetata
umana bramosia di conquiste.
Erano 700 anni che ne
avevano viste tante
E ori e schiavi
forgiati in altari
nel baroccheggiare
gongolante dell’Ego
Ed esplosioni
e nuove tecniche
di distruzione e affamamento.
Piangevano i rami intirizziti
del fico,
umile pianta nata lì per caso
e mai estirpata
perché faceva colore
suggeriva tanto la terra
andalusa
ponte tra est e ovest
generatrice di musica,
filosofia, scienze e splendore.
A raccogliere il lattice
appiccicoso delle lacrime
del fico
il topo che lì vicino
la notte usciva a rosicchiare
qualche rifiuto sfuggito alla solerzia
della scopa
mentre il pavone sonnecchiava
tra le frasche
del giardino reale
ristorandosi
prima di rinnovare la recita
degli sfarzi della storia.
E di tutte queste lacrime
affanni e convenienze
Muhammad Najem
adolescente giornalista
dei social
nulla sapeva
mentre c’era
anche chi di lui
si affannava a negare l’esistenza
intanto che su di lui
fischiavano le bombe
e urlavano le bufere
arabescate a tavolino
nei nuovi grattacieli del potere
Pina Piccolo, 27 febbraio 2018