Ombre di Parigi, 7 gennaio 2016
Lamento di boa mi era sembrato
la tromba che piangeva sul lungo Senna
accecata incespicava al passaggio
del bateau ebbro di luci
che le facciate rivelava
alla bramosia di turisti.
Stava lì accovacciato su uno sgabello
tra il reticolato di ombre
di platani spogli sovrastanti
e le dimore fluviali ormeggiate
su cui tavoli bianchi attendevano
l’estate capovolti.
Era forse l’ombra di Satchmo1
stregata da invisibili ondine
da quel marzo del ‘65
Ogni sera ripeteva assolo
quelle note di strazio
che ora afflitte
galleggiavano là bas
sulla Piccola Africa
18th arrondisement
alla base di Montmartre
la Goutte d’Or de le Chateau Rouge
Attaccate, le note, alla pelle
negra di Adama, il maliano
bambara, capo della sicurezza
del museo di antropologia Quai Branly
“fortemente voluto da Jacques Chirac”
che di buon passo
lascia alle spalle
il candore fantasmeggiante
di quel Sacre Couer
che mai la smette di espiare le colpe
di fine diciannovesimo secolo
Inciampando sul materasso
del nouveau clochard Denis,
prima di essere inghiottito
dalle viscere veloci della città
si gira il bambara alla granicola
scoppiettante di suono
E’ ritornata
l’ombra, lo sente nelle ossa,
quella che si proietta
potente e quasi annulla
l’altra quella da cui da secoli
les blancs sono abituati
a distogliere lo sguardo
si manifesta a una frequenza
quasi invisibile alle pupille occidentali
producendo un lieve baluginio
molto percettibile ad “altri” nervi ottici
quella stampata sul muro
dai fucili commerciati
da “suola al vento” Rimbaud
crepitanti vittoria
sulle pendici dii Amba Alagi e Adua
mentre i tamburi di Menelik coprivano
le trombe della nivea ritirata.
Disdegnosa ora ghigna
l’ombra negletta
e si rifugia nei manoscritti
salvati a Timbuctu, da Mamadou,
cugino di Adama.
Mentre, oggi a Parigi brilla l’altra
l’ombra accecante
nella cintura simulacro rancorosa
e folle stramazza nel conteggio.
Eppure si aggira ancora l’ombra trascurata
nei bassifondi del Louvre tra
il nuovo candore del tempio al dio mac
e quello antico di Hathor strappato
in un passato
di campagne gloriose
in groppa a bianchi destrieri impennati.
Mentre nel lungo Senna
riprende lamentoso l’assolo
dell’ombra di Satchmo
E nel vibrare dell’onda
danza l’ondina amazzonica
arrivata
un mese fa
nella canoa Sarayaku
per guarire l’acqua.
Pina Piccolo, gennaio 2016
1Satchmo era il nomignolo del trombettista/cantante Louis Armstrong, probabilmente da “satchel mouth” cioè bocca a cartella, per le sue dimensioni piuttosto grandi.