WHEN THE WORLD AS WE KNEW IT ENDED by Joy Harjo
We were dreaming on an occupied island at the farthest edge
of a trembling nation when it went down.
Two towers rose up from the east island of commerce and touched
the sky. Men walked on the moon. Oil was sucked dry
by two brothers. Then it went down. Swallowed
by a fire dragon, by oil and fear.
Eaten whole.
It was coming.
We had been watching since the eve of the missionaries in their
long and solemn clothes, to see what would happen.
We saw it
from the kitchen window over the sink
as we made coffee, cooked rice and potatoes, enough for an army.
We saw it all, as we changed diapers and fed
the babies. We saw it,
through the branches
of the knowledgeable tree
through the snags of stars, through
the sun and storms from our knees
as we bathed and washed
the floors.
The conference of the birds warned us, as they flew over
destroyers in the harbor, parked there since the first takeover.
It was by their song and their talk we knew when to rise
when to look out the window
to the commotion going on –
The racket in every corner of the world. As
the hunger for war rose up those who would steal to be president
to be king or emperor, to own the trees, stones and everything
else that moved about the earth, inside the earth
above it.
We knew it was coming, tasted the winds who gathered intelligence
from each leaf and flower, from every mountain, sea
and desert, from every prayer and song all over this tiny universe
floating in the skies of infinite
being.
And then it was over, this world we had grown to love
for its sweet grasses, for the many-colored horses
and fishes, for the shimmering possibilities
while dreaming.
But then there were the seeds to plant and the babies
who needed milk and comforting, and someone
picked up a guitar or ukulele from the rubble
and began to sing about the light flutter
the kick beneath the skin of the earth
we felt there, beneath us
A warm animal
a song being born between the legs of her,
a poem.
QUANDO IL MONDO COSI’ COME LO CONOSCEVAMO CESSÒ DI ESISTERE
(2001, tratta dalla raccolta “How we Became Human”)
Stavamo sognando su un’isola occupata nel margine più remoto
di una nazione tremante quando si inabissò.
Sull’isola orientale del commercio si ergevano due torri si stagliavano e toccavano/
il cielo. Gli uomini camminavano sulla luna. Il petrolio venne succhiato fino in fondo/
da due fratelli. Poi si inabissò. Inghiottito
da un drago di fuoco, dal petrolio e dalla paura.
Inghiottito tutto intero.
Stava per arrivare.
Era dalla vigilia dell’arrivo dei missionari avvolti nei loro abiti lunghi e solenni che stavamo a guardare cosa sarebbe successo.
Assistemmo al tutto
dalla finestra della cucina sopra il lavello
mentre facevamo il caffè, a lessare il riso e le patate,
abbastanza per sfamare un esercito./
Non ci perdemmo un attimo, mentre cambiavamo i pannolini e allattavamo/
i bimbi. Lo vedemmo,
attraverso i rami
dell’albero sapiente
attraverso la smagliatura delle stelle, attraverso
il sole e le tempeste in ginocchio
mentre facevamo il bagno e lavavamo
i pavimenti.
Ci avvertirono le conferenze degli uccelli, mentre sorvolavano i
caccia torpedinieri nel porto, là in sosta dalla prima conquista.
Dai loro discorsi e le loro canzoni sapevamo quando alzarci
quando guardare dalla finestra
per assistere al trambusto –
il campo magnetico deragliato dal dolore.
Lo sentimmo.
Il baccano in ogni angolo di mondo. Mentre
la fame di guerra cresceva in chi era disposto a rubare per essere presidente/
re o imperatore, possedere gli alberi, le pietre e tutto
quanto altro si muovesse per la terra, dentro la terra
e sopra di essa.
Sapevamo che sarebbe arrivato, assaggiando i venti che raccoglievano informazioni/
da ciascuna foglia e ciascun fiore, da ogni montagna, mare
e deserto, da ogni preghiera e canzone per tutto questo piccolissimo universo
che galleggia nei cieli dell’infinito
essere.
E poi cessò d’essere, questo mondo che ci eravamo abituati ad amare/
per le sue dolci erbe, per i suoi cavalli e pesci
multicolori, per le luccicanti possibilità
che si intravedono mentre si sogna.
Ma dopotutto c’erano le sementi da piantare e i bimbi
da allattare e da confortare, e qualcuno
prese su una chitarra o un ukulele dalle macerie
e iniziò a cantare del leggero tremito
del calcio sotto la pelle della terra
che si avvertiva lì, sotto di noi
un animale caldo
una canzone che le nasceva tra le gambe
una poesia.
Versione italiana tradotta da Pina Piccolo