Wikileaks 2025, uso indebito di filmati

Wikileaks 23 ottobre 2025

Oggetto : Lettera di Shirin Kayami, a Leon Panetta, capo della CIA,  2 giugno 2011

Caro Leon,

non puoi immaginarti  con quale amarezza mi accingo a scrivere questa lettera. Come spero sarai in grado di riconoscere, sono stata una tua dipendente fedele per  quasi 10 anni, da quando, giovane e inesperta stagista venni ad imparare i ferri del mestiere nel tuo ufficio di San Jose. Nel lontano 2001, dopo anni di servizio nell’amministrazione Clinton, eri ritornato ad essere uno stimato Congressman democratico che rappresentava la California a Washington, e io mi ritenevo fortunata di fare l’apprendista nel tuo staff. Come ben ricorderai, fresca di college, mi ero appena laureata dal programma di Performing Arts dell’Università di California Santa Cruz, con un Minor in Scienze Politiche nutrivo un’infinita  ammirazione per il tuo sagace senso della politica unito a un profondo senso etico, dote che, come molti, ritenevo rarissima tra quelli che facevano il tuo mestiere.  Il tuo impegno decennale per la difesa dei diritti civili ti distingueva da tanti altri.

Come ben ricorderai, mi dicesti che le mie radici di donna iraniana mi rendevano particolarmente sensibile alle questioni del Medio Oriente e dopo esserti complimentato con me per diversi resoconti che avevo scritto sulle comunità di immigrati, rifugiati ed esiliati di origine araba negli USA, mi proponesti di concentrarmi sullo studio di diversi paesi di quella zona, di creare reti di contatto con le migliori menti a livello mondiale che si dedicavano all’analisi dei vari paesi. Il tutto finalizzato all’elaborazione di una policy in grado di rafforzare l’islam moderato e progressista e le correnti laiche, in particolare quelle favorevoli a all’integrazione del Medio Oriente nel mercato globale.  Mi prospettasti un ruolo quasi da eroina: mancava una mano femminile nella formulazione di una politica e di una prassi sostenibile e implementabile nel contesto attuale.  Per rafforzare le tue argomentazioni mi parlasti del tuo background personale, figlio di immigrati di Siderno, un villaggio calabrese, anche tu avevi conosciuto la discriminazione, eri stato il primo della tua generazione ad avere accesso all’università ed avevi saputo sfruttare bene quell’opportunità. Ti dissi già all’epoca che ero molto lusingata dalla tua proposta ma che forse non avrei potuto dedicarmi con la dovuta solerzia a quest’impresa perché come ben sai la mia vera passione è il teatro, la regia, la videoscrittura. Mi rassicurasti che non era necessario scegliere tra l’uno e l’altro dei mestieri: avresti fatto in modo che potessi proseguire entrambe le carriere. Anche i politici hanno bisogno di persone capaci di creare  atmosfere, immagini convincenti, di stimolare il pensiero in un’altra direzione, di  essere protagonisti di un’epocale svolta nei paradigmi dominanti.

Infatti mi proponesti subito di rappresentare il tuo ufficio in veste ufficiale in diverse iniziative politiche e culturali. Ricordo la mia prima missione, fui mandata allo sbaraglio. A San Francisco, nel luglio del 2001 inauguravano la mostra itinerante degli strumenti di tortura conservati nel museo di san Gimignano, un’iniziativa che prevedeva anche un denso programma di appuntamenti  dedicati alla tortura nel mondo odierno.  I curatori, dietro insistenza del proprietario italiano della mostra che non si capacitava che all’inaugurazione di un sì importante evento non fossero presenti politici,  furono costretti a cercare oltre alle streghe per un rito di purificazione anche un politico che facesse presenza. Contattarono il tuo ufficio: per dimostrare la stima che nutrivi nei miei confronti mandasti me a rappresentarti. Non potevi sapere che appena terminato il mio intervento in cui esprimevo in tuo impegno come deputato nella difesa dei diritti civili e in varie cause progressiste un tale, tarchiato, coi baffi e una camicia hawaiiana, che risultò poi essere il tremendo economista marxista Michael Parenti si lanciò in una vera e propria geremiade, una denuncia del ruolo che avevi svolto nell’affaire Iran Contras, le doppiezze di cui ti eri macchiato in tutti quegli anni. Naturalmente non gli diedi ascolto, attribuii quelle accuse al malevolo spirito settario ed iperideologico di cui si macchiano gran parte dei seguaci di Marx.

Iniziai a proporti la parte artistica del mio lavoro: giravo filmati delle varie serate culturali dei gruppi iraniani,  facevo documentari sugli yemeniti  e i palestinesi che avevano acquistato il monopolio sui negozietti di alimentari nella San Francisco  Bay Area ma che in quegli anni erano spodestati dai coreani e dai cinesi,  andavo nei fine settimana a fare interviste con gli informatici indiani che erano venuti a lavorare nella Silicon Valley ed erano diventati la fetta demografica più consistente di città come Fremont. Qualche volta andavo addirittura a girare cortometraggi tra i Black Muslim, cioè gli afroamericani di fede islamica che avevano avuto un ruolo importante nella formazione della coscienza del Black Power.  Gli anni di Bush erano stati davvero duri, sopravvivere a quello spirito da Old West, specialmente dopo le torri Gemelle non è stata un’impresa da poco.

Era impegnativo gestire un immaginario statunitense che associava  qualsiasi riferimento al Medio Oriente o all’Islam ai cosiddetti  “ragheads” cioè “testa di stracci”, specie sub-umana il cui maggior divertimento era organizzare attentati e in qualsiasi modo minare le conquiste dell’Occidente. Era umiliante dover costantemente ricevere la compassione di persone che all’apprendere la tua nazionalità iraniana si congratulavano per essere riuscita a sfuggire a lapidazioni e a un destino di asservimento al maschio. Nel migliore dei casi  ti consideravano la fastidiosa fonte di lunghissime attese in coda negli aeroporti, la segreta  rappresentante di una innata, irrazionale, malevola invidia per lo stile di vita americano. L’incarnazione di un arcano desiderio di regresso.

Nonostante tutto continuai a impegnarmi a fondo nelle due carriere. Ogni tanto però eri tu, Leon, il committente di alcuni filmati. Vedendomi abbattuta mi ricordo quel giorno, un tuo collaboratore mi chiese, “Conosci il lavoro di Guillermo Gomez Pena? Quel messicano che fa performance art su questioni identitarie, sul concetto di messicano visto dagli occhi dei gringos? Hai mai sentito di quel pezzo di performance, The Couple in the Cage, in cui con Coco Fusco si fingono membri di una tribù di amerindi appena scoperta e vengono rinchiusi in una gabbia per essere osservati? Era iniziata come scherzo poi si sono resi conto che la gente credeva veramente che fossero due “selvaggi” e li osservava con quegli occhi. Hanno addirittura scritto dei saggi di antropologia sul loro esperimento/performance e lui organizza conferenze, pensa l’ultima si chiama Techno-Dioramas: Ethno-Cyborgs and Artificial Savages. Vatti a leggere le sue cose. Magari ti viene qualche idea per quello che sta avvenendo con la rappresentazione e l’immaginario dell’arabo/musulmano.

E un’idea non mancò di venire. Avrei girato dei filmini ispirati a Osama bin Laden, l’incarnazione del più grande e misterioso pericolo arabo/musulmano, la fonte di ogni Male, la primula rossa che sfugge a ogni tentativo di cattura.  Trovai degli amici compiacenti, alti dinoccolati, col viso un po’ scavato, li dotai di una lunga barba grigia e presi a girare riprese su riprese.  Ci siamo divertiti come dei matti. Ad un certo punto abbiamo ricreato una specie di bunker e all’interno lo abbiamo ripreso mentre conduceva una vita da “suburban dweller” americano. Davanti alla sua brava televisione, ma per dargli un tocco di esotico lo abbiamo fatto sedere a gambe incrociate su un tappeto persiano. L’aiuto regista gli aveva messo accanto una birra, Homer style, ma per fortuna all’ultimo minuto l’abbiamo vista e gliel’abbiamo levata. Avrebbe rovinato la continuity. Ne abbiamo girate di scene, lui che passeggia all’interno del compound  e sullo sfondo donne velate e qualche bambino, lui e i fedeli servitori, lui che riceve le visite di misteriosi emissari.  Poi a Jean, il mio aiuto regista, venne l’dea di filmare il valoroso raid americano, con tanto di atterraggio di elicotteri, scontro a fuoco, in una versione si arrende, in un’altra si fa uccidere dalle sue guardie, in un’altra lo uccidono gli americani mentre lui allunga il braccio per prendere il bastone,  in un’altra si dilegua in una specie di tombino (come ogni latitante che si rispetti, almeno un tunnel da qualche parte doveva pur avercelo). Sarei andata avanti per settimane. E’ stata un’esperienza catartica. E poi è stata anche un’esperienza che mi ha segnata a livello personale: durante le riprese, io e Hossein (quello che interpretava Osama l’ultima settimana) ci siamo innamorati e da allora non ci siamo più lasciati.

Ma poi, come ben ricorderai, sul finire del settimo anno del regno di Bush il Giovane si creò la prospettiva di un cambiamento, con la reale possibilità che venisse eletto un democratico, quindi dovetti mettere fine ai giochi e impegnarmi seriamente, come mi avevi chiesto, nella campagna elettorale a favore di Obama. Lasciai tutto il materiale filmico in uno degli armadi del tuo ufficio per riprenderlo in mano quando avrei avuto più tempo.

Ricorderai l’entusiasmo della sera della vittoria di Obama, anche se ti devo confessare mi era venuto un attimo di trepidazione alla vista degli studenti che avvolti nella bandiera americana cantavano l’inno nazionale. Queste scene, non so perché, mi rendono nervosa. Comunque i primi anni quell’entusiasmo non accennava a diminuire anche se mi rendevo conto delle grandi difficoltà che il primo presidente nero doveva affrontare. I primi dubbi cominciarono a baluginare durante la sua gestione della “riforma sanitaria”, e poi ancora con le sue difficoltà a districarsi dalla politica estera di Bush.

Poi velocemente tutto è stato inghiottito da un vortice oscuro. Sei stato accusato di non esitare a usare le maniere forti,  tu sei stato chiamato a essere IL CAPO DELLA CIA!!  Il buon Leon Panetta, chi l’avrebbe mai immaginato… Tu uno 007, con la tua aria da vecchio zio cattolico. Non è possibile, ci deve essere un errore.  E da direttore della CIA caldeggi gli attacchi di drone e le “tecniche di interrogatorio potenziate” conosciute anche con il termine “Waterboarding”?…. Ci deve essere un errore.

Così ti annuncio,  “Mi dispiace vecchio boss, ma mi dimetto. Riprenderò la mia carriera cinematografica, quella politica mi ha profondamente delusa.  Poi dopo due anni, alla fine di aprile 2011, vieni addirittura nominato a capo del Ministero della difesa mentre Petraeus prende il tuo posto alla CIA. Ma che è successo, mi sfugge qualcosa?

Poi il 2 maggio, rivedo quelle che erano le mie riprese, rimasterizzate e rifatte in un B-movie ancora più tremendo di quello che avevo girato io? E la gente applaude? E gli studenti ritornano in piazza avvolti in bandiere a scandire a squarciagola  U-S-A, e sotto sotto “YES, WE CAN do anything we want!” E il New York Times ci regala titoli come “Killing Evil Doesn’t Make US Evil (con sottotitolo – It wasn’t bad for college kids to feel good about their country), oppure “Why We Celebrate a Killing (Reveling in a death can be an expression of unity, not vengeance). E poi usare come codice per la missione il nome “Geronimo”? E’ mai possibile che un governo che si dice sensibile ai diritti umani usi l’invocazione di aiuto “San Geronimo!” utilizzata  dai colonialisti spagnoli  al fulmineo apparire del “sanguinario” capo nativo americano Goyahkla?

Complimenti Old Leon, mi hai rubato il mestiere di regista, solo che io non volevo fare B movies, e i B-movies del tuo paese d’origine, quelli a firma Sergio Leone con musiche di Morricone, sono diventati capolavori, e perfino l’attore di serie B Clint Eastwood è diventato con gli anni un attore e regista di serie A.  Lo stesso non si può dire di te, vecchio Leone. Lo so che non potrò mai provare di aver girato quelle riprese e lo so che è impossibile risvegliare un pubblico alimentato a base di pessima TV e cinema, ma volevo rammentarti, tu che mi incitavi a far squadra in uno spostamento di paradigma, che il paradigma si sta veramente spostando e non saranno certamente i tuoi/miei filmini a fermarlo.

Senza cordialità

Shirin Kayami     ( alterego di Pina Piccolo, 8 maggio 2011)

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